
Ti è mai capitato di tornare a casa dopo una giornata emotivamente intensa con l’irresistibile voglia di aprire il frigo e concederti un gelato, un pezzo di cioccolato o il tuo piatto preferito?
Non sei solo: ciò che stai cercando è il comfort food, quel cibo che ci coccola e ci fa sentire subito un po’ meglio.
Il momento del pasto va ben oltre la semplice funzione nutritiva: è un’esperienza che intreccia dimensioni sociali, culturali ed emotive. Mangiare insieme ci permette di condividere tempo, dialogo e relazioni, trasformando il pasto in un momento sociale. Le pietanze che scegliamo spesso riflettono tradizioni, abitudini e valori della nostra comunità, legando così il cibo alla nostra cultura. E, naturalmente, il pasto coinvolge i sensi: profumi, sapori e consistenze ci regalano piacere e soddisfazione, mostrando quanto l’alimentazione sia strettamente connessa alle emozioni. Ognuno di noi sviluppa nel tempo una relazione unica con il cibo, fatta di gusti personali, ricordi e significati. È questo intreccio a rendere l’esperienza del mangiare qualcosa di profondamente soggettivo e, spesso, rassicurante.
Il Potere dei Sapori Familiari
Consumare Comfort food è un'esperienza comune nella vita di tutti i giorni. Il concetto è emerso durante la seconda metà del ventesimo secolo e letteralmente significa “cibo di conforto”, da tale definizione già si evince il suo scopo principale. Con questa espressione, infatti, si indicano tutti quegli alimenti nei quali ci si rifugia nei momenti emotivamente stressanti e con il fine di ripristinare un equilibrio interiore e migliorare lo stato d’animo. Si tratta spesso di alimenti densi da un punto di vista calorico e poveri di nutrienti, pertanto il loro eccessivo consumo può portare a conseguenze negative per il metabolismo. Nonostante il suo regolare consumo, si sa relativamente poco sulla motivazione per quale viene ricercato, infatti, a tal proposito alcuni studi ci permettono di attribuire a tali alimenti il potere di evocare un senso di intimità e benessere dato il loro legame con ricordi spensierati - l’odore della torta di mele della nonna, la pasta al forno delle domeniche in famiglia, la cioccolata calda dei pomeriggi invernali. Questi sapori hanno una forte componente di memoria affettiva che gli permette di riportarci a un tempo in cui eravamo accuditi, rassicurati, amati e in un certo senso fa sentire “premiato” chi lo consuma. Inoltre, c’è anche un aspetto di controllo: scegliere cosa mangiare in un momento di caos o tensione ci restituisce la sensazione di poter gestire almeno un aspetto della situazione, contribuendo a ridurre lo stress percepito. A questo punto viene da chiedersi perché nasce in noi questo desiderio?
Emozioni, Cervello e Cucina
La ricerca scientifica mostra che i cosiddetti comfort food attivano aree specifiche del cervello, in particolare quelle coinvolte nel sistema della ricompensa e del piacere. Cibi dolci, grassi o particolarmente saporiti stimolano il rilascio di dopamina — il “neurotrasmettitore del piacere” — offrendo al cervello una piccola “ricompensa chimica”. Questo indica che il nostro rapporto con il cibo non è guidato solo dal bisogno fisiologico di nutrirci (il cosiddetto controllo omeostatico), ma anche dal piacere che proviamo nel mangiare.
Il senso dell’olfatto gioca un ruolo fondamentale, aiutando le persone a identificare il cibo e a valutarne desiderabilità e qualità. Gli esseri umani percepiscono le sostanze chimiche volatili tramite recettori olfattivi situati nell’epitelio olfattivo, mentre il senso del gusto permette di valutare le proprietà nutrizionali e fisiologiche degli alimenti, contribuendo allo sviluppo di preferenze alimentari. Siamo naturalmente programmati per desiderare cibi ricchi di macronutrienti essenziali per il corretto funzionamento e la crescita del corpo. Allo stesso tempo, tendiamo a preferire cibi salati, importanti per la regolazione dei fluidi corporei e la funzione nervosa e muscolare, e a evitare sapori acidi o amari, spesso associati a cibi deteriorati o potenzialmente tossici.
I cibi iperpalatabili stimolano inoltre il rilascio di ormoni come insulina, cortisolo (l’ormone dello stress) e leptina (coinvolta nella regolazione della fame). Questo suggerisce che il desiderio di certi sapori possa derivare da un mix di stimoli chimici e ormonali, rafforzando l’attrazione verso cibi dolci, salati o ricchi di grassi. Al contrario, alimenti come le verdure a foglia, pur ricchi di vitamine, minerali e fibre, non contengono zuccheri o sale in quantità sufficienti a stimolare gli stessi circuiti di ricompensa, risultando quindi meno gratificanti in termini immediati. Non sorprende, quindi, che il cibo diventi una strategia rapida per gestire emozioni intense, soprattutto quelle negative come tristezza, ansia o stress; infatti, il legame tra emozioni e cibo si forma già nell’infanzia e persiste per tutta la vita. Studi sul comportamento alimentare indicano che sia le emozioni positive sia quelle negative influenzano le nostre scelte, ma sono soprattutto le seconde a esercitare un impatto maggiore. Dunque, lo stress può alterare i modelli alimentari, provocando iperfagia o ipofagia attraverso l’asse ipotalamico-ipofisi-adrenocorticale (HPA). Questo suggerisce che gli individui possano ricorrere al cibo durante periodi di stress più per il comfort psicologico che per soddisfare bisogni fisiologici di base. Comprendere quanto incidano le emozioni rispetto ai segnali fisiologici di fame e sazietà regolati dall’ipotalamo rimane una sfida complessa e tuttora oggetto di ricerca.
Naturalmente, le reazioni individuali variano: c’è chi si rifugia in un piatto di lasagne per sentirsi meglio e chi, in situazioni di stress, perde completamente l’appetito.
Il lato nascosto del comfort food
L’uso dei comfort food può rappresentare un modo naturale per gestire le emozioni: concedersi di tanto in tanto un piatto di pasta o un dolce per tirarsi su non è problematico. Tuttavia, quando il cibo diventa l’unico strumento per affrontare emozioni difficili, può trasformarsi in un’abitudine poco salutare. Si crea spesso un circolo vizioso: si mangia per consolarsi, si prova senso di colpa e si ricorre nuovamente al cibo per alleviare l’emozione negativa. In questo processo, ciò che conta non è tanto la quantità di cibo ingerita, quanto la percezione di perdita del controllo. La persona può rendersi conto di mangiare in eccesso, ma sentirsi incapace di fermarsi.
Dal punto di vista psicologico e neurobiologico, questo meccanismo ricorda quello osservato nelle dipendenze: alcuni studiosi parlano infatti di vera e propria “dipendenza da cibo”, in cui il piacere e la gratificazione alimentare diventano strumenti principali per gestire lo stress emotivo. Sebbene il consumo di comfort food possa essere utile in alcune circostanze per migliorare l’umore, è importante non abusarne come unica strategia per affrontare le emozioni. Un consumo eccessivo può infatti avere conseguenze sul peso corporeo e sul metabolismo, aumentando il rischio di disturbi come l’obesità.
Piccoli Passi per un Rapporto più Sano
Migliorare il proprio rapporto con il cibo non implica privazioni drastiche, ma piuttosto l’acquisizione di consapevolezza dei meccanismi biologici ed emotivi che guidano il comportamento alimentare. Il mindful eating, un approccio derivato dalle pratiche di mindfulness, è stato oggetto di numerosi studi che ne hanno evidenziato i benefici su peso corporeo, regolazione della fame e gestione dello stress. Questo metodo si basa sull’attenzione intenzionale ai segnali interni di fame e sazietà, oltre che alle caratteristiche sensoriali del cibo – come odore, consistenza e gusto – attivando regioni cerebrali coinvolte nella regolazione dell’appetito e nella memoria gustativa.
Alcuni spunti pratici:
- Pausa consapevole: prima di mangiare, chiediti se la fame che senti è fisica o emotiva. Questo semplice passo può aiutarti a distinguere il bisogno di nutrimento dal bisogno di conforto, diversi studi hanno mostrato che fermarsi a valutare il proprio livello di fame, ad esempio usando una scala da 1 a 10, può ridurre l’alimentazione emotiva e favorire decisioni alimentari più appropriate.
- Strategie alternative per la regolazione emotiva: se ti accorgi che stai cercando di gestire un’emozione, prova attività che possano offrirti sollievo senza ricorrere subito al cibo. Attività come respirazione diaframmatica o brevi esercizi di consapevolezza riducono i livelli di cortisolo e, di conseguenza, il desiderio di “comfort food” ad alto contenuto calorico
- Consumo lento e senza distrazioni: se scegli di mangiare un dolce o un piatto che ami, fallo con lentezza e attenzione. Siediti, respira, osserva il cibo, assaporane il profumo e la consistenza. Questo trasforma l’atto del mangiare in un momento di piacere autentico, non in un gesto automatico. Inoltre, il mangiare lentamente aumenta la secrezione di ormoni come la leptina e il peptide YY, che segnalano sazietà, aiutando a ridurre l’introito calorico complessivo.
Nel lungo termine, integrare queste pratiche nella routine quotidiana è associato a un miglioramento della regolazione del peso corporeo, a una riduzione dei comportamenti di binge eating e a un maggiore benessere psicologico.
In conclusione
Il bisogno di comfort food nasce dal nostro bisogno di gestire le emozioni. In momenti di stress o quando proviamo tristezza, ansia o frustrazione, il cibo può diventare un mezzo per trovare sollievo. Mangiare i nostri cibi preferiti stimola il sistema della dopamina, lo stesso circuito cerebrale legato al piacere, regalando una gratificazione immediata che ci fa sentire meglio, anche solo temporaneamente. In questo senso, i comfort food agiscono come un vero e proprio “riparo emotivo”: ci offrono conforto e calore, senza richiedere di affrontare subito la fonte del nostro disagio.
Dott.ssa Tatiana Micheli
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